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Quando “trasformare” la frutticoltura fa bene al reddito

Investire, reinventarsi e, finalmente, ricominciare a crescere. Sono queste le tappe percorse da Fulvia e Franco Samorì, dell’azienda agricola “La Casetta” di Sasso Morelli che alla crisi della frutticoltura hanno scelto di opporsi con tenacia, creando una filiera di trasformazione cortissima. Che funziona.

L’azienda, di 6,5 ettari a indirizzo frutticolo che produce mele, pere, albicocche, pesche e prugne ha iniziato a scontrarsi come tutte, da quelle più grandi e strutturate a quelle più piccole, con due flagelli quasi impossibili da debellare: prima la costante crisi dei prezzi di mercato, che quasi mai coprono i costi di produzione e poi la diffusione della cimice asiatica, che nel 2019 ha colpito duramente anche l’imolese. Così hanno iniziato a trasformare le eccedenze di prodotto in marmellate, composte ma anche passate, pesto fino a un ottimo ketchup “contadino”, come spiega Fulvia Samorì.

“Mio marito fa l’agricoltore da sempre e io sono entrata in azienda ormai trent’anni fa e posso dire che una crisi così generalizzata e soprattutto duratura non ci era mai capitata. Naturalmente ci sono stati anni buoni e meno buoni, ma è fare reddito semplicemente conferendo il prodotto è diventato davvero difficile. Così, qualche anno fa, abbiamo iniziato a trasformare in un laboratorio esterno un po’ della nostra frutta e a venderla direttamente in azienda o nei mercatini per integrare le entrate. I nostri prodotti erano davvero molto apprezzati, così abbiamo deciso di investire su un laboratorio di trasformazione aziendale che adesso funziona a pieno regime, tanto che lavoriamo anche per conto terzi. Siamo molto soddisfatti – continua Fulvia – di questa nostra piccola filiera e posso dire che se l’anno scorso non avessimo trasformato i prodotti avremmo buttato via quasi tutta la frutta, troppo danneggiata dalla cimice e da altre fitopatologie aggressive. Io vengo da un settore diverso da quello agricolo e quando sono arrivata in azienda dalla città è stato difficile. Adesso non potrei pensare a un altro modo di vivere e sia io che mio marito Franco non avremmo mai rinunciato alla nostra “Casetta”. Certamente però nessuna azienda può lavorare in perdita e questo credo che accada, purtroppo, a molte realtà agricole del territorio. Così occorre rischiare, perché il laboratorio lo abbiamo creato senza contributi o sostegni esterni, ma è un rischio che vale la pena di correre per salvaguardare la terra, il territorio, i prodotti di qualità e le nostre aziende che sono un patrimonio inestimabile di risorse e competenze”.

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