Le aziende zootecniche a ciclo “chiuso” costrette a rinunciare alla Pac
La nuova Pac (Politica Agricola Comune) 2023-27, i sostegni europei alla produzione agricola, è stata accolta con molta preoccupazione da Cia-Agricoltori Italiani che a livello nazionale ha chiesto modifiche e deroghe a criteri considerati troppo stringenti per le aziende agricole, che hanno visto una considerevole contrazione dei contributi. Nel mirino, in particolare, gli impegni ambientali legati ai cosiddetti ecoschemi e la “condizionalità rafforzata”, una serie di pratiche agronomiche specifiche a volte troppo complesse da applicare nelle diverse realtà territoriali, ma necessarie per avere il pagamento base della Pac. Tra le deroghe che Cia-Agricoltori Italiani Ferrara chiede di portare avanti a livello nazionale ed europeo c’è quella della rotazione colturale per le aziende zootecniche a ciclo chiuso che, in sostanza, producono i cereali per l’alimentazione degli animali e utilizzano gli effluenti zootecnici per la concimazione dei terreni.
“Per molte aziende agricole – spiega Gianfranco Tomasoni che a Portomaggiore alleva 2.500 bovini da carne in un’azienda, appunto, a ciclo chiuso – la nuova Pac ha avuto un impatto negativo perché gli impegni richiesti, soprattutto a livello ambientale, tolgono terreni dalla disponibilità produttiva. Occorre ricordare che la Pac non è un “sussidio” agricolo ma un contributo per la produzione di cibo, necessario alla sopravvivenza, in una condizione globale di scarsità alimentare. Quindi, a mio avviso, dovrebbe essere uno strumento che favorisce e sostiene la produzione e le condizioni per ottenerla dovrebbero tenere conto delle situazioni particolari, come nel caso di un’azienda zootecnica che produce gran parte di quello che serve per l’alimentazione degli animali e utilizza gli effluenti per la concimazione. Con la nuova Pac, invece, riceviamo una cifra irrisoria all’ettaro, circa 120 euro, a patto di fare la rotazione colturale, ma in questo modo non possiamo seminare ciò che serve per sostenere l’allevamento. Così le aziende arrivano a rinunciare ai contributi pur di disporre liberamente dei loro terreni per coltivare ciò che è necessario ai propri animali. Voglio chiarire che la rotazione, una pratica agronomica finalizzata a migliorare la fertilità e abbassare la quota di patogeni e insetti, è generalmente positiva per l’agricoltura. Ma negli allevamenti a ciclo chiuso immettiamo circa 170 kg di azoto per ettaro, apportiamo sostanza organica, fosforo, potassio e microrganismi in grado di migliorare la struttura del terreno grazie agli effluenti e nessuna sostanza chimica.
Credo che la fertilità sia, dunque, ampiamente salvaguardata anche senza rotazione. Vista la situazione solleciteremo – conclude Tomasoni – una revisione della Pac che tenga conto di quelle aziende che si autoalimentano e, senza dover aderire agli ecoschemi e alle condizioni troppo vincolanti della Pac, garantiscono la salute dei terreni e la tutela dell’ambiente”.