Diversificare le produzioni per fare impresa in Appennino
Giuseppe Romagnoli
FARINI (Piacenza) – Funghi, tartufi, frutti del sottobosco, patate, castagne, senza dimenticare le antiche varietà di grani e di frutti; ed ancora carne di cinghiale, di capriolo, di daino, allevamento di bovini da carne: è, anzi potrebbe essere, il ricco e variegato il patrimonio di prodotti del nostro Appennino, ma poco conosciuto e valorizzato. Sarebbe sufficiente un’azione promozionale mirata e costante per far conoscere ai consumatori tutta la qualità unica di ciò che può offrire la montagna.
Certo, lo spopolamento della montagna è sotto gli occhi di tutti, ma sarebbero numerosi i giovani originari di questi paesi che ritornerebbero volentieri a viverci con le loro famiglie se si creassero le condizioni per una idonea qualità esistenziale. Il che significherebbe poter contare su adeguate strutture sociali, sanitarie e scolastiche e poter fare assegnamento su un reddito certo, dove si riconosca la qualità e l’unicità produttiva, perché questi prodotti non possono certo competere con i costi e la quantità di quelli della pianura.
I prodotti tipici contribuiscono ad esaltare l’immagine di tutto il territorio di produzione e stimolano un crescente flusso turistico finalizzato, incrementando il valore economico di un’agricoltura terziarizzata ed integrata.
Oggi la questione agricola o agroindustriale non è più legata alla produzione quantitativa e alla sua mera trasformazione e commercializzazione. Oggi cambia la necessità di valutare l’agricoltura e le attività connesse extra-agricole nel loro rapporto con la società e con il tessuto economico che insiste sul territorio dove avviene la produzione.
L’agricoltura produce dei beni che non sono puramente economici; significa anche ambiente, turismo e cultura e deve per forza implementare attività che si legano con le altre presenti sul territorio: artigianato, piccole e medie imprese. La patata, per esempio, è una produzione che nel piacentino può, a buona ragione, essere considerata “di nicchia” per le caratteristiche qualitative che la contraddistinguono e che consentono a chi “ha resistito” in montagna di conseguire un accettabile reddito che, però, va integrato con altre produzioni, sovente biologiche, sempre più richieste dal mercato, come lamponi o mirtilli e produzioni orticole, spesso, vendute direttamente in sede.
È il caso dell’azienda Chinosi a Bruzzi Sopra di Boccolo Noce, a Farini (Piacenza), a 1000 metri di altitudine, dove operano Mario, la moglie e la figlia Maria Luisa, un’attività rigorosamente familiare che ha portato al ripristino, con passione, di terreni ormai quasi abbandonati e con strutture rurali ormai fatiscenti, come del resto si riscontra sempre più nelle zone montane.
La famiglia Chinosi, invece, a parte i mesi invernali trascorsi a Farini, con l’arrivo della primavera si trasferisce nella frazione, dove l’abitazione è stata restaurata con pazienza ed attenzione alla conservazione, così come i fabbricati limitrofi.
Tutto ciò che è stato investito in azienda è però il frutto di iniziativa privata supportata da un grande amore per la propria terra ed il desiderio di rimanervi.
“Questa scelta – hanno commentato i titolari – è motivata anche dal fatto che i contributi pubblici che vengono richiesti giungono sempre con notevole ritardo e devono fare i conti con una pletora burocratica di pratiche”. Da qui, la decisione di fare con le proprie forze senza lasciarsi condizionare dal colpevole abbandono di molti terreni limitrofi nella vallata.
Inizia così ogni anno l’attività dove la coltivazione prevalente è la patata di tante varietà; sia a pasta gialla sia a pasta bianca seminata e lavorata manualmente fino alla raccolta, per non compattare il terreno. Ma nei cinque ettari (15 sono boschivi) si coltivano anche mirtilli, lamponi ed una produzione orticola. Il tutto è venduto direttamente in azienda. Un esempio, dunque, di tenacia garantita in continuità dalla figlia Maria Luisa intestataria dell’azienda associata alla Cia di Piacenza, con prossima laurea in Scienze agrarie. Proprio per questo Maria Luisa ha prodotto quello che può essere il loro “fiore all’occhiello”, cioè la produzione di mais antico. Dopo numerose prove di selezione in campo, e come partecipante al progetto ”Ricolma” (recupero, caratterizzazione e coltivazione), in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, si è scelto di produrre la varietà Quarantina Genovese poi fatta essiccare sul portico, portata al mulino a macinare e trasformata in farina; ottima per polente prelibate.
Si coltivano poi piccoli frutti: lamponi, sia uniferi che biferi, inoltre, ribes rosso, more e mirtilli giganti in vaso per un totale di 150 piante. Il lamponeto è stato messo a dimora una quindicina di anni fa, scegliendo accuratamente il campo, ben esposto, riparato dai venti, dalla corona di monti e dalle siepi circostanti. Ora in fase di rinnovamento. In questi anni un campo è stato predisposto a noccioleto, mettendo a dimora 60 piante di noccioli, richiestissima dai mercati. In aggiunta, si coltivano fagioli, fagiolini, ortaggi vari e negli ultimi anni l’azienda si è specializzata nella produzione di pomodori di numerose varietà, con eccellenti rese e con maturazione scalare fino ai mesi autunnali.
La terra non essendo sfruttata, naturale, senza aggiunta di additivi chimici, ma solo di letame maturo offre ottimi risultati qualitativi e buone rese, eccellenti le caratteristiche organolettiche, come la salubrità dei prodotti. Insomma diversificazione, qualità totale, coltivazioni di piena sostenibilità, amore per la terra e le proprie origini, una famiglia coesa e la continuità assicurata da giovani professionalmente preparati come Maria Luisa: questa la ricetta vincente per garantire la presenza aziendale nei territori svantaggiati, una “politica” perseguita dalla nuova Pac che riserva contributi importanti per queste produzioni. Tutto ciò che è stato investito in azienda è, però, il frutto di iniziativa privata supportata da un grande amore per la propria terra ed il desiderio di rimanervi.
“Questa scelta – commentano i titolari – è motivata anche dal fatto che i contributi pubblici che sono richiesti giungono sempre con notevole ritardo e devono fare i conti con una pletora burocratica di pratiche”. Da qui la decisione di fare con le proprie forze. “Ma è necessario ed indispensabile – concludono – che si pensi a dotare queste zone delle necessarie infrastrutture per garantire ai residenti adeguata qualità di vita e gli indispensabili servizi sociali”.